Per andare da Milano a Dakar ci vogliono non più di 4 ore, senza scalo, da Malpensa. Il volo di Air Italy, la vecchia Meridiana, lo batte 5 volte la settimana. Perché i senegalesi a Milano sono un sacco e poi perché per andare nel “pancione” africano ci vuole davvero un attimo.
Sedici milioni di abitanti, di cui cinque a Dakar e uno a Mbour, la città sulla costa da dove viene Badou, senegalese da sempre ma milanese da poco più di un anno.


Incontriamo Badou all’Arco della Pace, al Living Liqueurs & Delights, all’angolo di Piazza Sempione e dopo un caffè e una crostata al mirtillo iniziamo il viaggio andata e ritorno da Milano al Senegal.
Capello crespo e pece e sorriso latte, Badou è un wolof, che oltre ad essere una lingua è anche uno dei tratti caratteristici del Senegal. Ed è anche il trait-d’union di tutti i senegalesi a Milano.
“In Italia siamo la tredicesima comunità internazionale. Solo in Lombardia ci sono più di 33 mila miei connazionali, di cui 22.700 donne, in controtendenza con la media italiana dove gli uomini sono il 74%” – ci racconta Badou. Italiano perfetto e coniugazioni regolari.
“In Italia siamo più di 100.000 ma è Milano la destinazione più ambita. Qui facciamo i commercianti perché la nostra terra – che è terra di commercio, di scambi e di suk – ci ha insegnato a fare questo. I senegalesi più istruiti vanno in Francia o in Belgio o in Canada, perché lì c’è la lingua coloniale e perché nel tempo molte famiglie si sono congiunte nei sobborghi di Parigi o di Bruxelles o di Toronto”.

Tutto molto interessante: moltissime donne senegalesi vivono a Milano, ma noi non le vediamo. Così come è curioso capire cosa fanno gli uomini (i commercianti, per l’appunto – ndr, ma anche gli agricoltori o i ristoratori). Il Senegal a Milano, d’altro canto, lo puoi trovare in “Fiera di Sinigallia” o a quella degli “O Bei O Bei”. O meglio al Petit Senegal, in Certosa, dove tutto sa di salsa e verdure e dove l’aria è sempre speziata.
Ma Badou invece lo incontriamo in centro. E’ una bella giornata, si prende una spremuta, sorseggia e ricomincia: “In Senegal non c’è la guerra così come non c’è la fame. Siamo un popolo buono che lavora, che fa turismo – inglese e francese prevalentemente – e che vive in buona parte delle rimesse dei senegalesi nel mondo. Se tu vai via dal Senegal, per qualsiasi ragione lo fai, sai bene che dovrai sempre mandare i soldi a casa (la Banca d’Italia nel 2017 ha censito 27 mln € da Milano verso il Senegal, ndr). E’ un obbligo morale. Io qui lavoro per me, per la mia famiglia e per mantenere gran parte delle 16 persone che sono la mia famiglia d’origine in Senegal. A loro mando tutto: soldi, telefoni cellulari e quanto serve ai miei fratelli più piccoli”.
Il Senegal a Milano vive a Porta Venezia, nel labirinto tra Piazza Oberdan-Panfilo Castaldi-Tadino e Lazzaro Palazzi. Un’altra parte della comunità è in viale Monza, a Est. Sono prevalentemente mussulmani, parlano italiano e in città si impegnano come addetti alla sicurezza nei locali o nei centri sportivi o nei negozi. E poi vendono prodotti e fanno i mercati.
“I primi senegalesi a Milano” – ci dice Badou – “erano dei Baye Fall. Mussulmani commercianti che vendevano prodotti agli angoli delle strade (e della società). Miei connazionali che vivevano nella filosofia Baye fall di praticare la religione in modo pacifico e con grande senso di servizio per gli altri. Io sono un Baye Fall e a Milano parlo wolof. Questo mi rende molto orgoglioso e mi fa sentire un po’ a casa”.
Sulla mappa del Senegal a Milano troviamo la Cascina Casottello, delle associazioni Sunugal e Fate Artigiane. E’ a Corvetto, a 5 minuti a piedi dalla fermata della Gialla-Porto di Mare. Un po’ più in centro, in Procaccini, c’è la compagnia teatrale Mascherenere, che da qualche giorno ha presentato “Al chiaro di Luna: Ritorno alle radici con Arsene Duevi”. Alla scoperta dell’Africa nera e i dei suoi artisti. Poco più in là, invece, Badou ci consiglia di andare a farci un primo e secondo da Contact Culturel in via Felice Cavallotti, a Sesto San Giovanni. Il più bello dei ristoranti senegalesi. Qui si sforna dell’ottimo cheb-ou-jen (riso con pesce), deliziose melange di verdure e altrettante specialità come il mafé, lo spezzatino condito con pasta d’arachidi, la yassa e la carne marinata in succo di limone.

“Sapete qual è la cosa più bella che mi è capitata a Milano (oltre a Lorenza e al mio bambino che è presto in arrivo)?” – incalza Badou – “A Milano è bello poter festeggiare il Dahira, la festa religiosa più importante per il Senegal. Già, perché Milano è una città aperta e ci permette di riunirci nella nostra comunità, nei nostri ristoranti, nei palazzetti. Nella nostra collettività. Perché i senegalesi sono una grande comunità e vivono tanto di collettività. Poterlo fare anche qui è bellissimo. Le donne si vedono con le donne e gli uomini con gli uomini, perché in Africa, ma anche qui, è forte il senso della classe sociale, della suddivisione della vita e dei ruoli”.
Non stentiamo a credergli, sul serio. Ma allo stesso modo gli raccontiamo come Milano sappia offrire da tempo un nuovo modello di integrazione anche alle proprie comunità. E quindi confidiamo a Badou tutta la nostra fiducia nella città e in quello che essa saprà presto offrire loro, che sono i nuovi milanesi. Senza distinzione di classe, di sesso e di razza.
Il tempo è scaduto, avremmo tanto altro da dirci ma Lorenza, aspetta un pargolo e deve riposare.
Le Strade di Milano si fa un thiéboudienne di riso rosso, pesce e verdure in Certosa – e poi si rimette in cammino. Senegal, au revoir.
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