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La Cloche 1967 | Ristorante storico a Pino Torinese

Gianluca Pubblicato il 15 Luglio 2018

Lo voglio dire… uuuhselovogliodire… Lo voglio dire una volta, poi non lo dico più perchè poi sa un pò di Chiara Ferragni (ma dei poveri), ma almeno una volta lo voglio dire…. eddai suvvia siamo su un blog, facciamo i BLOGGHERRRRRH…

(colpo di tosse pre frase) Io e il nostro amabile fotografo di quartiere (Fabio, quello sexy con la barba) siamo STATI INVITATI in uno dei più storici ristoranti della città, però storici non come quelli che puzzano di muffa e non accettano il bancomat perché “purtroppo oggi è rotto”, no, storici nel senso che hanno saputo resistere alle generazioni, che si sono rinnovati pur conservando quell’appeal sospeso nel tempo e quell’accoglienza un pò “d’altri tempi”.

Abbiamo avuto il piacere di mangiare al ristorante La Cloche 1967 avevamo paura di sentirci fuori posto. Ci sbagliavamo di grosso.

Ristorante La Cloche 1967
Strada Traforo del Pino 106 | Torino

Lunedì – Sabato | 19.30 – 23.00
Domenica | 12.00 – 15.30 & 19.30 – 23.00

Costo | €€€€

Tre ragioni per andare al ristorante La Cloche 1967:

  1. La cantina: in costante rinnovamento stagionale, qui si trova un vino adatto ad ogni piatto e ad ogni palato; difficile tornare a valle della collina dopo il vino e i liquori di fine pasto.
  2. La lingua al verde: piatto umile della tradizione piemontese, qui fa godere.
  3. La sala: elegante, calda, di altri tempi. Se non riuscite a limonare in questo ristorante, gettate la spugna.

Tra classicismo e contemporaneità – Scrivere titoli che non vogliono dire nulla

Indovinate un pò quando nasce il ristorante La Cloche 1967?? Esatto.

Dal 1967 la famiglia Bello è alla direzione, e proprietà, di un piccolo gioiello posizionato sulla collina di Torino, un ristorante che forse a colpo d’occhio, mentre si sale, risalta poco (e mettiamocela una bella insegna al led con scritto “QUI LINGUA AL VERT”), soprattutto se come me e Barba-Fabio hai il piacere di cercarlo in una notte di tempesta; ma una volta individuato vi sarete lasciati alle spalle il rumore della città e il suo gradevole profumo di gasolio, e sarete pronti ad entrare in questo ristorante da 20 posti a sedere, dall’accoglienza famigliare sospeso tra storia e innovazione. Eh si, perché dopo un anno sotto la direzione esperta di Valter Eynard oggi La Cloche continua a rinnovarsi per regalare alla cucina classica piemontese altre mille sfaccettature, colori e sapori, e dunque, Pinuccia Bello (si chiama Pinuccia non è un nomignolo in amicizia tra me e lei), attuale proprietaria nonchè, come il cognome suggerisce, erede di questo luogo, ha deciso di mettere alla guida della cucina un cuoco giovane, che ha non molti anni in più di me ma lui si è girato in lungo il largo il mondo, ha cucinato insieme a Cracco e Oldani, e fa sembra i pochi traguardi raggiunti nella mia vita delle insulse merdine, Luca Taretto.

ristorante La Cloche 1967
ristorante La Cloche 1967

E dai, ditemi che il lime non è un frutto piemontese

Ho divagato un pò, i know, quindi per raccontare la serata e Chef Luca Taretto è doveroso fare un Focus sulla sua idea di cucina. Se alla Cloche pensate di andare a mangiare una bolla gelatinata con dentro essenza di rosa e cardamomo, “state a casa”!

Qui la cucina è tradizionale, piemontese, localissima ma con degli slanci di sperimentazione mai stucchevoli, come ad esempio il croccante di polenta e foie gras con cipolla aromatizzata al porto, oppure il gambero marinato con bisque agli agrumi, grandi protagonisti nella cucina di Taretto, e poi il grande classico della cucina piemontese, la lingua al verde ma dal taglio spesso, praticamente il BIGMAC delle lingue al verde, spettacolo, mio piatto preferito.

ristorante La Cloche 1967
ristorante La Cloche 1967

Abbiamo avuto poi il piacere di provare il riso al lime e finocchio con una spolverata di barbabietola, il piatto forte della casa, e poi un raviolo di ricotta grosso praticamente come la mia macchina.

ristorante La Cloche 1967

Sella di agnello in crosta di purè con riduzione di agrumi e si termina con una semisfera di cioccolato fondente. Ma questa è stata la nostra cena, una piccola proposta di un menù in via di sviluppo che si arricchisce costantemente e che grazie all’estro e alla giovane età dello chef non annoia e soddisfa.

Quel qualcosa in più

Chiudo come sempre con quel qualcosa in più che mi ha fatto apprezzare questo locale, tanto affascinante per me quanto insolito per le mie abitudini, diciamo che sono un tipo da arrotolato con tutto non molto piccante e vi ho detto tutto.

La direzione della sala e la gestione della cantina fanno di questo locale un luogo di spiccata eleganza quanto di velata informalità grazie alla guida di Simone Servi, sommelier professionista tanto appassionato quanto giovane, capace di appassionare anche noi “ consumatori ignoranti-compulsivi” di coinvolgere i clienti e nel tradurre al meglio a parole quello che chef Luca Taretto racconta attraverso i piatti.

Bravi Tutti!


All images © 2019 Fabio Rovere