Da qualche tempo Milano ha finalmente riscoperto un suo monumento: il complesso residenziale del Monte Amiata al Gallaratese, da sempre riconosciuto a livello internazionale da architetti e urbanisti ma quasi sconosciuto ai milanesi, ultimamente sta comparendo sempre più spesso in servizi fotografici, riviste e video musicali.
Un pezzo di periferia tumultuoso e complesso di cui è difficile non rimanere affascinati.
Complesso residenziale Monte Amiata
Via Francesco Cilea / Via Enrico Falck | Milano
MM1 – San Leonardo
Ingresso: l’intero complesso è privato. È possibile chiedere di entrare ma cercate di rispettare la tranquillità e la privacy dei suoi abitanti.

“Questo dinosauro rosso, con una rigida e lunga coda bianca,
sorge ormai terribilmente sopra la pianura”
Aldo Rossi

Il disordine controllato
La prima parola che viene in mente è complessità: attraversando le piazze di quello che tecnicamente dovrebbe essere solo un condominio, lo sguardo si perde tra finestre, colori, rampe e geometrie insolite e fuoriscala. Sembra non esserci nessuna regola, se non quella del disordine programmato. Se si pensa ai classici palazzoni popolari di periferia, tutti simili tra loro e fatti di ripetizione e rigore, è facile capire come questo edificio sia entrato nei manuali di storia dell’architettura.

La storia del complesso Monte Amiata al quartiere Gallaratese (zona nord ovest di Milano) inizia nell’immediato dopoguerra, quando l’omonima società mineraria acquista un lotto di terreno destinato poi all’edilizia economico-popolare. Il masterplan dell’intervento è affidato all’architetto romano Carlo Aymonino, mentre i lavori iniziano nel 1967.
Nel disegnare il complesso, l’architetto ignora volutamente la periferia circostante, ponendosi come nuovo punto di riferimento in un unico e articolato blocco, pronto ad ospitare circa duemila abitanti. I cinque corpi di fabbrica, tutti diversi tra loro, sono disposti in modo da formare una figura a ventaglio, che si svolge tra piazze interne, passerelle in quota e spazi pubblici.

La città nella città
L’intento di Aymonino è proprio quello di ricreare la complessità della città dove la città non c’è. Per farlo, chiede aiuto anche all’amico e collega Aldo Rossi, che realizza una delle stecche residenziali del Monte Amiata in maniera completamente diversa: un volume bianco, puro e ripetitivo, che diviene un “episodio” isolato all’interno della microcittà.
Il teatro all’aperto, fulcro geometrico e concettuale dell’intero progetto, sottolinea la volontà dell’architetto di creare una comunità dove solitamente domina l’alienazione.
Oggi i suoi gradini, insieme alle pareti gialle e rosse, alle passerelle e al vetrocemento, servono da sfondo a molti fotografi amatoriali e professionisti invadendo le riviste e i social.
Forse non poteva prevederlo, ma in un modo o nell’altro l’architetto ha raggiunto il suo scopo.


All images © 2019 Simone Sangalli