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Le Torri di Milano: il Pirellone

Rosa Giulia Luppino Pubblicato il 2 Dicembre 2021
Pirellone Milano

«L’architettura è un cristallo. Quando è pura, è magica, esclusiva, autonoma, incontaminata, assoluta, definitiva. Come un diamante: il più perfetto tra i cristalli». Così scriveva Gio Ponti, in uno dei sette punti del suo programma estetico-espressivo, e guardando il “Pirellone” risulta evidente come l’architetto abbia messo in pratica alla lettera la sua visione. Il palazzo Pirelli, costruito tra il 1956 e il 1960, è il suo capolavoro, il simbolo della Milano del miracolo economico e ancora oggi uno degli edifici in calcestruzzo armato più imponenti al mondo.

Grattacielo Pirelli
Via Fabio Filzi 22 | Milano
MM2 MM3 Centrale

Pirellone Milano

Un grande oggetto

Il grattacielo Pirelli deve il suo nome alla celebre azienda italiana di pneumatici e gomma, che nel 1950 decise di promuovere l’immagine della società con un edifico rappresentativo che avrebbe dovuto ospitare i nuovi uffici sull’area un tempo occupata dalla prima fabbrica del gruppo.
L’incarico per la progettazione venne affidato agli architetti Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Giuseppe Valtolina ed Egidio Dell’Orto, mentre la parte strutturale fu assegnata a Pier Luigi Nervi e Arturo Danusso.

Pur ispirandosi agli skyscrapers americani a lui contemporanei, il grattacielo Pirelli si contraddistingue per un’inedita leggerezza e plasticità, come una sottile lama che sembra spuntare dal terreno e che ricorda più un grande oggetto di design che un edificio (non a caso Gio Ponti è stato uno dei maggiori industrial designer del dopoguerra).

Pirellone Milano

Uno skyscraper milanese

Questa “leggerezza” dovuta al ridotto rapporto larghezza/altezza (appena 18,5 m per 127 m di altezza) strutturalmente è stata resa possibile da Nervi, che progettò due enormi pilastri cavi a forma triangolare, posti alle estremità e contenenti i corpi scala, e quattro grandi pilastri-parete centrali che si assottigliano con il salire dei pianti, il tutto in calcestruzzo armato. La forma in pianta che ne deriva è quella che gli stessi progettisti definiranno “a chicco di riso”.

L’utilizzo del calcestruzzo al posto dell’acciaio per i grattacieli è una scelta tipicamente italiana, che troviamo in molti altri edifici contemporanei al Pirelli, come nel caso della sua “rivale” la Torre Velasca (ne abbiamo parlato QUI). Nonostante questo, l’edificio è stato fonte d’ispirazione per numerosi architetti in tutto il mondo: passeggiando per New York potreste imbattervi in un suo simile, il Pan Am (oggi MetLife) Building, reso famoso da innumerevoli pellicole e la cui estetica emula quella del grattacielo milanese.

Pirellone Milano

All’epoca della sua costruzione il Pirellone era l’edificio più alto d’Italia e il primo a Milano a oltrepassare i 108,5 m della guglia più alta del Duomo, quella della Madonnina. In epoca fascista venne fatta addirittura una legge per limitare le altezze degli edifici entro questa soglia, e anche nel dopoguerra rimase come una sorta di accordo non scritto. La famiglia Pirelli ottenne di superare la Madonnina alla condizione di posizionarne una sua copia in formato ridotto alla sommità.

Pirellone Milano

Il restyling e l’incidente

Nel 1978 la Pirelli cede l’edificio alla Regione Lombardia, e dal 1983 il grattacielo è soggetto a un’opera di restyling interno per mano di Bob Noorda prima, e Vico Magistretti poi. Tra le modifiche, sono rimossi gli arredi originali di Ponti e parte dei rivestimenti vinilici appositamente realizzati dalla Pirelli.

Il 18 aprile 2002 un piccolo aereo da turismo si schianta contro il grattacielo all’altezza del ventiseiesimo piano: due piani vengono completamente sventrati dall’esplosione e tre persone, incluso il pilota, perdono la vita. Dopo il tragico evento, l’edificio è stato completamente restaurato.

Dal 2005 il Pirellone è tornato ad ospitare gli uffici del Consiglio Regionale della Lombardia, e oggi è possibile visitare l’ultimo piano del grattacielo su prenotazione o in occasione di mostre o eventi particolari.

Pirellone Milano

Piccole storie del grattacielo
Dino Buzzati, 1970

Sono passati appena dieci anni, eppure quando ritorna a vedere la sua torre, quando entra ancora una volta nel suo palazzo, quando prende l’ascensore del suo grattacielo (può capitare ogni tanto) ch’egli ha inventato e costruito, nessuno più lo riconosce. Nella lunga salita, egli se ne sta in piedi in un angolo di uno dei sei grandi ascensori, appoggiato al bastone, la sua bella faccia malinconica come assorta, e nell’ascensore entrano ed escono, a seconda dei piani, impiegati ed impiegate, funzionari, ingegneri, alti dirigenti, e tra di loro qualcuno si saluta, essi tutti appartengono alla piccola città messa all’impiedi, alla piccola celebre città, sono anche abbastanza orgogliosi di essere cittadini del famoso grattacielo, si salutano, sorridono, scherzano anche, in quelle brevissime pause del lavoro, e accanto a loro nell’ascensore sta colui che ha ideato il grattacielo, un signore in età dalla faccia però ancora fiera pur se malinconica, ma nessuno lo riconosce, nessuno lo saluta, come se fosse uno straniero capitato là per caso.
Né Gio Ponti rimane male, o si stupisce, o si fa nervoso, sul volto suo infatti è disegnata ormai una grande saggezza, dentro di sé, ma non si vede, dentro di sé scommetterei che, anzi, sorride sulla caducità delle cose e la eterna corsa dietro il vento.

Da dove guardarlo
Il grattacielo Pirelli non è l’Empire State Building. Al paragone, se gli si mettesse al fianco, sembrerebbe non dico un nanerottolo ma un fratellino molto minore. Tuttavia il conto in metri serve fino a un certo punto, esiste la relatività, eccetera. In Milano il grattacielo Pirelli, a parte la sua incontestabile bellezza, o forse proprio per questo, è un grande personaggio. Gli occhi, per me poi che abito a due passi da piazza della Repubblica, ci sono abituati. Ma ogni tanto, passando per le strade là intorno, e voltando per caso gli occhi in su, cosa che in città purtroppo si fa di raro, ecco quel coso, pinnacolo, guglia, torrissima, protendersi al di sopra dei cementi, dei vetri, delle vogliose architetture residenziali, con un grande, solenne, puro respiro. Vi consiglio per esempio, da via Fabio Filzi, di entrare per pochi metri, a destra, in via Marangoni, e di alzare gli occhi; cosicché lui vi si presenta a fil di spada, imprevedibile, con violento lirismo.
Oppure, ancora meglio, scendere giù per via General Fara e a un certo punto, a destra, si apre un varco; è questo, senza possibilità di discussione, uno dei punti più belli di Milano, e Dio solo sa quanto sia avara Milano di bellezza; dovrebbero portarci i turisti, con i pullman, nel rituale «tour de la ville». Ivi si presenta una prospettiva stupenda. Come in montagna, quando dinanzi a noi le erte creste si accavallano una dietro l’altra, sempre più alte, e infine, lassù, apparentemente irraggiungibile, si erge contro il cielo la fatidica rupe. Una delle poche felici impennate di questa adorabile e orrenda città.

D.B.


All images © 2021 Giulia Luppino